TIMPA DEL PINO DI MICHELE: IL COSMO INTELLIGENTE.

Osservo le pendici con i faggi color rame che scendono verso la gola dello Stiavucca. Verdi colate di pino nero contendono la scena al faggio. Timpone Pallone, Manfriana, Timpa del Pino di Michele e Dolcedorme sono coperti da una massa di nubi scure come il piombo. Le creste rocciose che s’inerpicano verso l’alto, costellate di pini loricati. Sui tronchi delle conifere, fin lassù, i segni dell’accetta dei pastori che procuravano esche per illuminare i tuguri e accendere il fuoco. E il trasudo di resina, e le sgargianti macchie di licheni. Tra i cespugli e nell’erba le tracce del cinghiale e del lupo, della loro diuturna battaglia per la vita. Sulla valle aleggiano frattali di nebbia, come lente navi fantasma. Tutto è silenzio, mentre il sole cala a occidente. Si ode solo il verso querulo di un picchio nero e il suo mitragliare col becco su un vecchio tronco. E’ un nirvana, un attimo di estasi, di puro godimento dello spirito, di annullamento del pensiero. Se un persona “normale” ci vedesse ora, si domanderebbe: “ma che guardano? Che c’è di utile in questa solitudine vuota e paurosa?” Ecco, ora comprendo che null’altro potrei contemplare, di inutile, con tanta profondità di senso, se non queste solitudini “vuote e paurose”. Della Calabria, naturalmente. Perché solo di esse conosco storie, vite, gioie, afflizioni, suoni, aromi, visi, paesaggi. Come Grazia Deledda conosceva quelli della sua Sardegna, o Alvaro quelli d’Aspromonte, o Silone quelli d’Abruzzo. Perché solo esse sono dentro di me. Perché solo in esse sono a casa. Le mie erranze non hanno un’estetica, né un’atletica, né un’aspirazione ludica. Hanno solo un’etica: l’etica della memoria, che dona continuità allo scorrere del tempo, che salda il passato al futuro, che travasa la Terra nell’anima, la materia nello spirito. Ed hanno la spiritualità di una predestinazione. Stamane ero diretto altrove. Solo all’ultimo momento ho cambiato meta: quando un filo di luce da est ha illuminato la piatta cima di Timpone Campanaro. E’ stata quella minuscola chiarità stagliata contro l’oscuro fondo delle montagne a indicarmi la via. La materia, la natura, la vita non sono regolate da meccanismi preconoscibili, da numeri, calcoli, misure, equazioni. Sono anche quella solitudine piena, libera, creativa, che vedo dinanzi a me. E alla quale sono consacrato, esattamente quanto la rupe su cui poggiano i miei piedi. Dall’indistinto brodo primordiale non è nata solo la vita, ma anche questa mia misteriosa consapevolezza, mentre osservo la vita. “La scienza – scrive il fisico Paul Davies ne “Il cosmo intelligente” – può spiegare tutti i processi per mezzo dei quali l’universo si costruisce il proprio destino, ma ciò lascia aperta la possibilità che vi sia un significato oltre l’esistenza”. Ed io, oggi più che in qualunque altro luogo e momento, avverto che intorno a me non ci sono solo i compagni d’avventura, le montagne, i valloni, le foreste, le nubi, il cielo, il vento. Sopra e sotto, davanti e dietro, fuori e dentro me, vi è l’ineffabile mistero di un’intelligenza superiore che nessuna scienza potrà mai eguagliare. E con Platone dico: “questo mondo nacque come un essere vivente davvero dotato d’anima e di intelligenza, grazie alla provvidenza divina.”

Nelle immagini: Timpa del Pino di Michele, gola dello Stiavucca, versante sud di Serra Dolcedorme. Massiccio del Pollino, Calabria, Foto Francesco Bevilacqua.

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