Messaggi in cielo, stasera. In forma di nubi. Tinte dall’ultimo sole che affonda nel mare. Messaggio valido per ogni creatura: la vita trascolora in poco tempo; non puoi prolungarla a piacimento; devi essere pronto. Come sembrano dire le voci di sottofondo in “The great gig in the sky” dei Pink Floyd. È la disposizione d’animo fondamentale di chi rispetta il fato, la “necessità”. Ananke (così i greci chiamavano, deificandola, la necessità) è divenuta il simbolo del limite, della misura, che dovrebbero permeare ogni azione dell’uomo, ogni pensiero che regge quell’azione.
Realizzo che è trascorso più di un mese dall’ultimo “grande spettacolo nel cielo”, dall’improvviso – per fortuna temporaneo – oscurarsi della vita per una persona cara. Non ho più narrato, da allora. Non ho più avuto la serenità, il silenzio interiore, la solitudine per farlo. Solo grazie a queste tre condizioni vi è, per me, epifania di parole. Poi, per ore, talvolta per giorni, sto ripiegato sul testo. A levigare la roccia piena di imperfezioni. A sottrarre segni soverchi. A trovare forme adeguate. Ora, solo ora, riprendo. Per rievocare un cammino che è stato esso stesso rivelazione.
Giorno afoso. Di maggio. Appena una settimana prima – dal lato opposto della valle del Trionto – avevo osservato montagne ammantate come da un vello d’oro. Non avevo mai visto nulla di simile: groppe gibbose, come quelle di un gigantesco ariete. L’ariete, il cui vello Giasone e gli Argonauti ritrovarono dopo tante avventure. Oggi, così, decido di appurare se la domenica precedente non abbia avuto un’allucinazione. Vespe, bombi, farfalle, coleotteri in volo fra il giallo delle ginestre, il bianco macchiato di cremisi delle rose canine, il lilla dei cardi. Resto ipnotizzato da quella colata d’oro senza fine. Che dal Paleparto tracima fin dentro le pieghe più riposte del Trionto, tingendo Serra S. Angelo, Serra Stoppa, Costa Spagnola. Entro nel cuore della distesa di ginestra dei carbonai. Quella da cui si traevano i tetti delle capanne, le ramazze, il colore delle stoffe, quella che colonizza per prima i terreni distrutti dagli incendi, prepara il suolo per il ritorno del bosco. Ci ha seguiti un cucciolo di pastore maremmano: un puntino color latte nell’immenso giallo.
Sosto su un poggio, ad ammirare “the great gig on Earth”, il grande spettacolo sulla Terra. Come le figure umane nei dipinti di Caspar David Friedrich. “Viandante sul vello d’oro” potrebbe chiamarsi il quadro. Mi torna alla mente, così, il delirio di onnipotenza del genio umano nei riguardi della Natura. Esattamente la condizione attuale dell’uomo, che con la scienza e la tecnica pensa di soggiogare la Materia. L’idea che sostiene questa convinzione non è più religiosa (giudaico-cristiana per la precisione) ma laica, anzi atea: non riconosce nulla all’infuori della realtà costruita dalla ragione umana e dalle sue dirette emanazioni. Si chiama “fiducia nella tecnica”. Che rimedierà ai guasti da essa stessa prodotta alla Terra: si può radere al suolo una foresta, perché il genio dell’uomo saprà come ripiantarla; si può sporcare il mare, perché saprà come ripulirlo; si può avvelenare l’acqua da bere, perché saprà come risanarla … Se proprio dovesse andar male, l’uomo troverà altri pianeti da abitare. E la vecchia, cara Terra diverrà una palla oscurata, spenta, alla deriva nell’Universo. Dove saranno abbandonati gli scarti del genere umano, quelli che non producono e non consumano, gli inutili, i senza valore, i senza dignità.
Ecco perché oggi, dinanzi al vello d’oro delle ginestre dei carbonai mi sento l’ultimo dei “terranauti”, di coloro, cioè, che ancora vagano alla ricerca disperata della bellezza della Terra, che la riconoscono come unica casa dell’uomo. E il vello di ginestre che oggi ricopre le montagne è simbolo di un altro pensiero, quello che ha fiducia, invece, nel genio della Natura. In una prospettiva non antropocentrica ma biocentrica. L’uomo, invidioso e superbo, ci prova a diffamare la ginestra. Sostiene, a torto, che sia una specie estranea, infestante, invadente. Fingendo di dimenticare che la sua estesa apparizione in certi luoghi è dovuta proprio ai danni provocati da lui. Ecco come pensa e agisce l’uomo! Ma oggi, osservando le pieghe dei monti contese fra il verde dei pini ed il giallo delle ginestre, fra i mille fiori splendenti ed il ronzare degli insetti, fra lo stormire delle fronde ed i lunghi silenzi, comprendo che solo la Natura è la cura. E che il vello d’oro delle ginestre è il più dolce, il più bello fra i medicamenti.