Il tempo del terrore in festa. Ansia e sballo nella civiltà dell’informazione

“Dacci oggi la nostra ansia quotidiana”, potremmo dire parafrasando la più famosa preghiera della cristianità. Questa volta, però, l’invocazione non è rivolta al Padre Nostro ma a divinità ben più potenti: i media. Da lì proviene quasi tutta l’ansia, che tiene le masse al guinzaglio dei potenti. Gran parte degli eventi mediatici mette in scena, infatti, la paura: guerre o conflitti sociali ma anche catastrofi naturali, inondazioni, terremoti, epidemie; brutalità nelle strade, nelle famiglie, a scuola ma anche violenza nelle fiction, a cinema, in tv, nelle serie di Netflix.

I primi a fare le spese di questa alluvione di informazioni ed immagini ansiogene sono i giovani, che non vivono più nell’“epoca delle passioni tristi”, come denominarono i primi anni duemila Miguel Banasayag e Gérard Schmit in un famoso libro, bensì nel “tempo del terrore in festa” come mi viene da definire la nuova era. Questa tensione perenne è resa, infatti, sopportabile dall’unica cosa che può giustificare un simile dispendio di energie: il piacere, il divertimento, lo sballo collettivo. La vita è oggi tutta la paura che c’inonda nei tempi morti tra una festa e l’altra: battesimi, cresime, matrimoni, compleanni, diciottesimi, onomastici, pasque, pasquette, natali, capodanni, ferragosti, carnevali, halloween, sabati sera nei ristoranti, nei bar, nelle discoteche, domeniche nei centri commerciali, negli stadi di calcio e di nuovo nei ristoranti e nei bar.

Non è un caso che molte violenze simboliche del nostro tempo avvengano in coincidenza di momenti di divertimento. Mi vengono in mente i recenti pestaggi nelle strade di Amsterdam dopo una partita di calcio o, ancor prima, l’attacco di Hamas durante il rave party del sette ottobre dello scorso anno. È come se questi atti – e molti altri – siano stati concepiti in concomitanza di “feste” proprio per colpire l’essenza della civiltà occidentale: il desiderio di vivere la vita come un eterno sballo, un ansiolitico contro la paura. Siamo convinti di poter esorcizzare “La banalità del male”, direbbe Hannah Arendt, con l’illusione del divertimento.

Il più grande sceneggiatore di Hollywood non potrebbe ideare fatti più macabri di quelli che quotidianamente erogano i media. Con dovizia di uccisioni, squartamenti, stupri, carrarmati, missili, droni e, finalmente, liberatoria come un evento apocalittico, la guerra totale. Dove la paura si sublima in un odio infinito, inoculato in ciascuno di noi come un sedativo che placa l’ansia e svuota le coscienze. Ma l’odio infinito, il conflitto che pretende di designare Caino senza sapere che perfino lui è nel cuore di Dio (“metterò un segno su Caino, perché chi uccide Caino sarà ucciso sette volte” dice il Dio del cristianesimo e degli ebrei nella Genesi – 4, 1-15), non ha né vincitori né vinti. E nessuna festa, per quanto tracimante di piacere, potrà mai lenire la definitiva disperazione delle nostre società.

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