Il Fiume Lao (il luogo dove è avvenuto l’incidente di rafting di due giorni fa) ha un nome evocatore. “Laos” era la colonia fondata dai Sibariti sul Tirreno. Ed il toponimo Lao si estese, così, a tutta la valle che dai due Laino (Laino Castello e Laino Borgo) serpeggia sino a quella che oggi è la costa di Scalea e che i Sibariti utilizzavano come via istmica, dopo essere risaliti giungendovi dalle opposte valli ioniche del Crati e del Coscile. I Greci utilizzavano cioè le valli fluviali come vie di attraversamento della Calabria da oriente ad occidente. La valle del Lao fu poi confine tra i territori dei Lucani e dei Bruzi e, intorno al 1000, insieme alla contigua valle dell’Argentino fu scelta come rifugio da centinaia di monaci italo-bizantini.
Non dobbiamo pensare, però, al transito lungo quelle valli come navigazione fluviale: i corsi di quei fiumi non avevano e non hanno un fondo talmente alto da poter ospitare imbarcazioni di legno. Tanto più il Lao, che proprio dopo i due Laino (sino ai quali esso mantiene il nome di “Mercure”) dà vita a lunghe (circa 16 km) ed incassate gole, ricche di rapide e massi affioranti, che si aprono solo in prossimità della costa. Al centro delle gole vi è il “paese presepe” di Papasidero, famoso anche per la grotta preistorica del Romito, con il suo famoso graffito raffigurante un bovide selvatico.
Le Gole del Lao sono rimaste sconosciute ai più sino agli anni ’80, quando uno dei pionieri dell’ambientalismo e dell’escursionismo calabrese, Primo Galiano, s’inventò letteralmente la moderna frequentazione delle gole attraverso il kajak ed i gommoni da rafting. All’epoca si trattava di un’esperienza pionieristica e molti faticavano a credere che delle attività outdoor di questo tipo potessero trovare percorsi nel profondo Sud, essendo le stesse, normalmente praticate sui torrenti delle Alpi. Ed infatti il Lao non somiglia in nulla alle classiche fiumare calabresi, dai grandi letti ciottolosi e riarsi.
Uno dei modi più semplici per avere contezza delle gole è percorrere il sentiero che da Laino Borgo ridiscende lateralmente il primo tratto delle gole. Proprio a Laino Borgo vi è uno degli imbarcaderi dei gommoni da rafting che partono così per la ridiscesa delle gole. In questa attività sono impegnate una decina di agenzie fra Laino, Papasidero e Scalea, dotate di esperte guide professioniste, che organizzano le discese di diversi tratti del fiume, di varia difficoltà.
È durante la ridiscesa delle gole che si è verificato l’incidente nel quale alcuni giovani studenti in gita scolastica su uno dei gommoni sono stati sbalzati in acqua ed una ragazza di Polistena (Denise Galatà, di 18 anni) ha perso la vita. È una perdita gravissima, soprattutto per la famiglia, gli amici, i professori. La stessa gente di Laino e degli altri paesi del Lao si stringe, sgomenta, attorno ai familiari di Denise. Nella pratica del rafting le cadute in acqua non sono infrequenti. Per questo chi pratica questa attività è sempre dotato di caschetto, muta e giubbotto salvagente, così come lo era Denise. E solitamente la caduta si risolve solo in un bagno in acqua. Non è stato così, purtroppo, per Denise.
In mancanza di informazioni sufficienti, sarebbe imprudente fare qualunque valutazione sulle responsabilità per l’accaduto, semmai ve ne fossero. Bisogna infatti tener conto che qualunque attività in natura, anche una semplice passeggiata in montagna, comporta dei rischi. Lo sanno bene sulle Alpi dove nel luglio del 2022, il crollo di un pezzo di ghiacciaio della Marmolada provocò vittime e feriti fra gli alpinisti e gli escursionisti che transitavano al di sotto. E lo sanno anche i volontari del Soccorso Alpino che nel solo 2022 hanno contato ben 504 vittime in montagna in Italia. E sulla questione delle responsabilità non dimentichiamo quanto è accaduto per la tragedia del Raganello dell’agosto 2018: furono messi sotto accusa e processati (anche mediaticamente) amministratori, organizzatori e guide, tutti poi puntualmente e giustamente assolti.
Quel che occorre capire è che più aumenterà la fruizione delle montagne calabresi (e del Sud in genere) – dove le attività out-door sono arrivate da pochi anni rispetto alle Alpi – più incidenti vi saranno. Soprattutto se tutti insieme non sapremo inculcare nei fruitori di queste attività la cultura del rischio. Deve essere chiaro cioè che in montagna come in un fiume, come al mare (persino percorrendo una strada con la macchina, andando in bicicletta o passando una nottata in discoteca) il rischio zero non esiste. Esiste, invece, la mitigazione del rischio, ossia una preparazione dei fruitori e di chi li guida adatta alle condizioni ambientali ed alle capacità di ciascuno. Solo così possono essere limitati i danni degli incidenti. Ma, soprattutto, non vanno demonizzati i luoghi dove accadono gli incidenti. Il Lao (riserva naturale dello stato poi inserita nel Parco del Pollino) è uno dei luoghi più belli ed ecologicamente importanti d’Europa. Le popolazioni della valle hanno ricavato da questo e dalla fruizione rispettosa degli ambienti fluviali e montani nuova linfa vitale per fermare l’abbandono e ridare speranza ai giovani che vogliono restare. Ecco perché sarebbe sbagliato prendercela, ancora una volta con la natura come se fosse colpevole della perdita di una vita umana. Il Lao è un paradiso dove trentamila persone l’anno (questi i numeri della fruizione delle gole) trovano gioia, si riconciliano con la natura e con sé stessi. Tuteliamo, rispettiamo il Lao, e non facciamolo improvvisamente apparire come un inferno.