Ho in evidenza da mesi, sulla mia scrivania, un libricino di Chiarelettere del 2011 che raccoglie scritti di don Lorenzo Milani, perché ho casualmente scoperto che il 27 maggio di quest’anno ricorrerà il centenario della sua nascita. Intuivo l’urgenza dell’evento per l’evidente attualità del pensiero “ribelle” del priore di Barbiana – un piccolo borgo di montagna sul Mugello, in Toscana – nato a Firenze il 27 maggio 1923 e morto il 26 giugno 1967, a soli 44 anni, per un linfogranuloma, in odore di eresia e sottoposto a processo, accusato di apologia di reato per aver istigato i giovani a disobbedire l’obbligatorietà del servizio militare.
La guerra, la pace, la giustizia sociale erano temi brucianti negli anni del dopoguerra ed egli ebbe l’ardire di stare dalla parte dei miti, dei poveri, dei disobbedienti. So che sono in preparazione celebrazioni varie per don Lorenzo, fra cui diversi libri che provano a ricostruirne personalità, pensiero, missione. Ma sono certo che a tutto questo, egli avrebbe preferito ancora una volta la ribellione, la disobbedienza, il fattivo stare dalla parte degli ultimi. Come fece dalla sua piccola scuola rurale a Barbiana, dalla quale partirono lettere sferzanti contro il perbenismo e le regole ingiuste di una società ancora intrisa di autoritarismo, di disuguaglianze, di ingiustizie.
Non ho dubbi da che parte starebbe don Lorenzo Milani oggi: dalla parte della pace, contro le fabbriche ed i trafficanti d’armi; dalla parte del pensiero libero e non allineato, contro la disinformazione massificata ed il pensiero unico; dalla parte di tutti coloro che nel mondo sono trattati come semplici esecutori di ordini subliminali, che vivono nel bisogno senza mai avere gli onori delle cronache se non per qualche vacua polemica politica pronta a svaporare quando al potere andranno gli altri, quelli che oggi protestano ipocritamente.
Don Lorenzo aveva lasciato la sua vita di borghese benestante per abbracciare il Vangelo, aggiungendo allo spirito francescano la disobbedienza civile di Thoreau e di Gandhi, il coraggio di mettersi contro la gerarchia della Chiesa, di opporsi a regole ingiuste, come l’Antigone di Sofocle. Don Lorenzo si fece povero fra i poveri, subì persecuzioni e vessazioni, ma non cedette sino alla fine, segnata da quella sofferenza per la malattia che fu per lui adesione piena al dolore del mondo, con una dignità ed una fierezza che solo i “cattivi maestri” sanno avere.
Potrei trarre dal libretto aperto qui accanto a me una delle frasi famose di don Lorenzo, quelle che per qualche giorno, nell’approssimarsi del centenario, sentiremo, ancora una volta ipocritamente ripetere nelle TV e sui giornali. E invece voglio concludere con un brano dal testo forse più bello di Don Lorenzo, quella “Lettera ad una professoressa” con la quale denunciò la nefandezza dell’educazione scolastica: “Tentiamo invece di educare i ragazzi a più ambizione. Diventare sovrani! Altro che medico o ingegnere. Quando possederemo tutti la parola, gli arrivisti seguitino pure i loro studi. Vadano all’università, arraffino diplomi, facciano quattrini, assicurino gli specialisti che occorrono. Basta che non chiedano una fetta più grande di potere come han fatto finora. Povero Pierino, mi fai quasi compassione. Il privilegio l’hai pagato caro. Deformato dalla specializzazione, dai libri, dal contatto con gente tutta eguale. Perché non vieni via? Lascia l’università, le cariche, i partiti. Mettiti subito a insegnare. La lingua solo e null’altro. Fai strada ai poveri senza farti strada.”