CALABRIA NEO-ESOTICA: ECCO PERCHE’ AFFASCINA

Da alcuni anni, la Calabria registra un crescente interesse mediatico. Lo dimostrano le pagine ad essa dedicate, fra gli altri, da grandi giornali come National Geographic, New York Times, Times, che la consigliano come originale ed inedita meta di viaggio. Il fenomeno è inconsueto, se solo si pensa che la notorietà della Calabria è derivata, negli anni, da sequestri di persona e latitanti (prima), da ‘ndrangheta, sottosviluppo e cattiva amministrazione (poi). Con la conseguenza che ci sarà sempre qualcuno che subito dopo il recente elogio si prenderà la briga di perpetuare l’“antico biasimo”, per usare un’espressione cara a Benedetto Croce, che si riferiva al detto secondo cui il Sud è “un paradiso abitato dai diavoli”. Com’è accaduto, di recente all’attore americano Stanley Tucci che, pur decantando le prelibatezze dei cibi di Calabria, non ha potuto fare a meno di ricordarne povertà, criminalità, corruzione, inadeguatezza dell’offerta turistica.

Che gli Stanley Tucci (o i Corrado Augias) di turno ci ricordino periodicamente le nostre “ombre” è cosa inevitabile. Ciò che non è affatto scontato, invece, è che, pur persistendo l’armamentario dei pregiudizi, qualcuno richiami, di tanto in tanto, le “luci” di una regione che, stando alle sue “ombre”, dovrebbe essere ritenuta invivibile ed assolutamente da evitare. Invece no: a quanto pare la Calabria è divenuta meta ambita, come si trattasse di una di quelle regioni amazzoniche piene di luoghi incogniti, popolate di indigeni “pittoreschi”, dove poter fare un inedito safari e da cui ricavare qualche insolito trofeo.

L’idea che mi sono fatto di questa contraddizione apparentemente inspiegabile è che, nonostante tutto (anzi, forse proprio grazie ai contrasti che la caratterizzano), la Calabria piaccia a chi – come i media internazionali – è alla costante ricerca di novità da proporre ad un pubblico che ama l’esotico o, meglio, il “neo-esotico”, visto che almeno dal tempo di quell’ “odio i viaggi e gli esploratori” che il grande etnologo Claude Levì Strauss impresse nell’incipit del suo famoso libro “Tristi tropici” – riferendosi alla modernità che cancellava inesorabilmente luoghi, culture ed etnie – l’esotico puro non esiste più.

“Esotico” è un aggettivo che si riferisce alla curiosità della gente di città per paesi lontani, poco civilizzati o comunque con paesaggi, culture, tradizioni molto diverse dalle nostre. Mentre con “neo-esotico” intendo tutto ciò che, pur contaminato dalla modernità, ha mantenuto, nella realtà o nell’immaginario collettivo, un che di diverso, di non omologato. Ed ecco che la Calabria si presta perfettamente a questa forma di esotismo di “prossimità”. Pur trovandosi in Europa, la Calabria è, infatti, una terra liminare, geograficamente e culturalmente isolata, che si protende, in forma di storta e nocchieruta penisola, verso il sud del Mediterraneo: come volesse staccarsi dal resto d’Italia per sfuggire alla modernità continentale.

A guardar bene, la Calabria annovera dentro di sé tutte le categorie più tipiche dell’esotismo: è “neo-autentica” perché, volendo, si può venire a contatto con forme di esistenza poco artefatte, come accade, ad esempio, in tanti piccoli paesi dell’interno; è “neo-selvaggia”, perché l’emigrazione ha spopolato colline e montagne, restituendole ad una natura avvolgente, incontenibile, quasi sempre con la suggestiva aggiunta di una “vista mare”; è “neo-pittoresca”, perché alle rovine della storia si aggiungono le “rovine” della modernità, caos urbanistico e “non finito calabro” compresi; è “neo-magica”, perché nell’era dell’assolutismo razionalistico, offre relitti di irrazionalità difficilmente rinvenibili nel resto d’Europa, che l’antropologo e storico delle religioni Ernesto De Martino descrisse così bene nei sui libri sul magismo nel Sud.

Ed ecco perché, forse, a molte persone abituate all’asettica ed ordinata vita cittadina, alle regole ed alle protezioni urbane, alle relazioni algide e disincarnate, alla noia del già visto, ai lavori alienanti, alle performance ed al successo ottenuti al prezzo della propria vita interiore, al neo-illuminismo applicato a qualunque cosa, l’idea di una Calabria contaminata e contaminante, avventurosa e fors’anche un po’ pericolosa, misteriosa e cerimoniosa, nella quale si possa vivere, volendo, in una sorta di isolamento claustrale sanamente relazionale, piace e attrae. È questa la ragione del perché, a mio parere, la Calabria potrebbe trovare una sua propria strada per offrire a stranieri (“outsider”) e residenti (“insider”) l’opportunità di vivere da “diversamente felici” in luoghi indubbiamente difficili, bistrattati e fraintesi. E quanto alle ombre della Calabria, potremmo dire, parafrasando lo stesso Croce, che l’antico biasimo del paradiso abitato da diavoli non deve né indignarci né offenderci; e che non deve importarci se e quanto esso sia vero, giovandoci invece – e molto – ritenerlo sempre verissimo per far in modo che, con le nostre azioni ed il nostro impegno, esso divenga sempre meno vero.

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