Fine velluto di muschi, erbe, foglie. Sole che penetra la volta con raggi dorati. Soffice lettiera di foglie. Grandi tronchi di abeti protesi verso il cielo. Dedalo di ruscelli sussurranti. Compio il mio viaggio di dendronauta (dèndron, in greco, significa albero) nel bosco più bello del mondo, l’Archiforo di Serra San Bruno. No, non sono io ad averlo proclamato tale, ma un medico cinese, Quing Li, che nel suo libro “Shirin- Yoku” lo ha indicato fra le prime quaranta foreste al mondo. Dove camminare scalzi, abbracciare gli alberi, rotolarsi nelle foglie, inalare odori, provare sapori, guarire dalla fretta di vivere. Vaghiamo a lungo fra sontuose navate, guidati da un giovane innamorato degli alberi. Roberto si fa animale del bosco. Questo labirinto è la sua casa. Un giorno assumerà le sembianze di un albero. Sa che le migliaia di verdi colonne del cielo, fra Pietra del Caricatore e Monte Pecoraro, fra il Mula e la Stilaro, fra Rosarella e Lu Bello, non sono legno ma puro spirito. Sa che nei loro apici radicali vi sono cellule neuronali, che gli alberi pensano, sentono, comunicano. Come avevano intuito Charles Darwin e suo figlio Francis, Come scrisse Gustav Theodor Fechner. Sa che gli alberi sulla Terra esistono da 400 milioni di anni, contro gli appena 200 mila dell’Homo sapiens. E che non è affatto vero che i boschi senza le “cure” degli umani non potrebbero esistere. Piuttosto è il contrario. Sa che gli alberi sul Pianeta sono 3000 miliardi, contro i sette miliardi e mezzo di uomini. E che mentre gli alberi tengono in equilibrio la vita sulla Terra, gli uomini lavorano per distruggerla. Sa che la “nazione delle piante”, come la chiama Stefano Mancuso ci consente di sopravvivere, mentre noi la ricambiamo, radendo al suolo quantità inenarrabili di foreste. Anche qui da noi, anche nel Bosco Archiforo, dove le motoseghe ed altre armi di distruzione di massa sono sempre all’opera. Abbattere un albero – ammoniva John Muir – è la cosa più stupida che si possa fare: gli alberi non possono né difendersi né fuggire. E non fuggono i giganti del Torrente Mula, quando giungiamo alle loro magioni remote. Ci accolgono silenziosi, con il loro patriarca che pare una preghiera rivolta al cielo. “Immobile fui un albero del bosco e seppi cose che prima mi erano ignote” recita una poesia di Ezra Pound. Ignota ci è la mente degli alberi, i primi nati, gli antichi, coloro che saranno ancora qui quando gli umani scompariranno dalla Terra. Nel gioiello di acqua e roccia, di humus e fronde, di luce ed ombra. Nella foresta di smeraldo.
Nelle immagini: scorci del Bosco Archiforo, Serre, Calabria. Foto di Francesco Bevilacqua.