Quando sento dire che senza le “cure” dell’uomo le foreste deperirebbero rapidamente, si riacutizza la mia orticaria idiopatica. Soprattutto se penso che la Calabria è tra le quattro regioni più forestate d’Italia (insieme a Trentino Alto Adige, Piemonte e Toscana) con i suoi 468 mila ettari di boschi (dati ufficiali, ma in realtà la superficie boscata nella regione e molto più estesa).
Questo tipo di affermazione, quando si è in buona fede, viene fatta solo per sostenere il giusto ruolo dei dottori forestali, degli agronomi, degli operai forestali nella “gestione” di foreste che, essendo state modificate dall’uomo per decenni, dovrebbero essere seguite passo passo nella loro evoluzione. Sin qui concordo, con qualche distinguo di cui sarebbe lungo discutere. Così come non nego che per i fabbisogni dell’umanità occorra approvvigionarsi di legname in qualche modo. Magari creando appositi “allevamenti bradi” di alberi da legno utilizzando tante superfici deforestate nei secoli ed abbandonate di cui disponiamo. Si otterrebbe così un duplice effetto: si potrebbe produrre legname da boschi artificiali, lasciando in pace quelli naturali e, nello stesso tempo, ottenere dai nuovi boschi maggior produzione di ossigeno, maggior “smaltimento” di anidride carbonica, cura del dissesto idrogeologico, mitigazione del riscaldamento climatico, riduzione della siccità. Per far questo occorrerebbero, quantomeno in Calabria, incentivi economici per chi riconverte i boschi cedui (quelli che rinascono, dopo i tagli, dalle ceppaie delle latifoglie) in alto fusto, per i proprietari che non tagliano i boschi (anche queste foreste contribuiscono alla mitigazione degli effetti dei gas serra), per quelli che accettano di rimboschire terreni abbandonati, per coloro che piantano alberi da legno. Mentre andrebbero immediatamente tolti gli incentivi alle centrali a biomasse che producono energie bruciando gli alberi.
Più spesso, però, il pensiero della necessità della cura dell’uomo verso gli alberi serve per giustificare lo sfruttamento massivo delle foreste, quello che abbiamo praticato negli ultimi due secoli (con l’avvento della tecnica), sino al punto da trasformare i boschi da comunità di esseri viventi in fabbriche di legname. A questa categoria appartengono anche le classiche affermazioni suggerite da “esperti” in malafede ai politici, secondo le quali le alluvioni sarebbero causate dall’ “abbandono” delle foreste da parte dell’uomo. Il tutto per perorare la salvifica “pulitura” delle sponde dei fiumi dalla vegetazione ripariale, la rapina di materiali litici dagli alvei, lo sfoltimento dei boschi sulle pendici delle valli.
Ora, per evitare che chi è in buona fede finisca per offrire inattesi assist a chi ha come unico fine la perpetuazione del saccheggio, bisognerebbe essere molto cauti quando si ripete la fola dei boschi che non sopravviverebbero senza le cure degli uomini.
C’è un elemento logico che dovrebbe convincerci che questa affermazione, senza i necessari chiarimenti, è errata: gli alberi vivono sulla Terra da 400 milioni di anni; l’Homo sapiens la abita da soli 200 mila anni. Allora chiediamoci: come hanno fatto gli alberi e le foreste per vivere e prosperare per un tempo così incredibilmente lungo in attesa delle fatidiche e tardive cure dell’uomo? Non sarebbe più corretto sostenere, piuttosto, che l’uomo senza le cure delle foreste si estinguerebbe in pochissimi anni?