Sila: selve d’acciaio al posto delle foreste.

L’attuale calata dei barbari dell’eolico al Sud mi ricorda quella, più lontana nel tempo, dei barbari della deforestazione. Vi fu un’epoca – dagli inizi del ‘900 sino al secondo dopoguerra – in cui imprese del Centro Europa e del Nord Italia scesero anche in Calabria per radere al suolo le ultime grandi foreste d’Europa rimaste quasi intonse. Vennero pian piano verso Sud: dopo aver distrutto le Selva Ercinia, al centro del vecchio continente, dopo aver saccheggiato le Alpi e poi gli Appennini più a Nord, inviarono i loro emissari nelle “terre incognite”, corruppero le amministrazioni locali, imposero il ricatto occupazionale, provocarono lo shock monetario in comunità che erano vissute sino ad allora di scambi e piccoli commerci, presero di mira foreste che erano state decantate nei versi di grandi autori classici come Virgilio.

Di quei saccheggi furono vittime, fra le altre, il Pollino, i Monti dell’Orsomarso, l’area del Monte Gariglione, in Sila Piccola, le Serre fra il Monte Pecoraro e il Bosco di Stilo, l’Aspromonte nell’area sommitale, dove operarono ditte con grandi capitali a disposizione (ad esempio la Rueping e la So.Fo.Me.), che costruirono ferrovie a scartamento ridotto, teleferiche, segherie, fabbricati e rasero al suolo decine di migliaia di ettari di foreste che avevano incantato quei pochi botanici, come Michele Tenore, e viaggiatori, come Norman Douglas, che le avevano visitate prima che scomparissero. La gente dei paesi era segnata dalle crisi economiche succedute all’Unità d’Italia, dall’emigrazione di massa, dal decadimento delle antiche pratiche agricole e pastorali. E questo avvenne anche in Sila Greca, l’area maggiormente presa di mira oggi dagli speculatori dell’eolico perché fuori dai confini del Parco Nazionale della Sila: sul Monte Paleparto, ad esempio, operò la Feltrinelli (lo stesso gruppo imprenditoriale della odierna casa editrice). Ne restano ancora i segni.

Ora, è significativo – e terribilmente evocativo dell’assalto della tecnica contro la natura che fu messo in evidenza da grandi pensatori come Martin Heidegger – che a distanza di diversi decenni, la storia si ripeta con quelle macchine mostruose che dovrebbero produrre energia elettrica sostituendo ai paesaggi ri-forestati della Sila Greca il paesaggio apocalittico di torri eoliche alte 200 metri.

Durante l’epopea della deforestazione in Calabria, un manipolo di artisti ed intellettuali, raccolti attorno al giornale “Brutium”, diretto dal critico d’arte Alfonso Frangipane – eravamo negli anni ’20 – ebbe il coraggio di sfidare gli speculatori del legname, lanciando una forte campagna protezionista. Da essa scaturì il disegno di legge del letterato e parlamentare Antonino Anile che, nel 1923, propose l’istituzione del Parco Nazionale della Sila (creato, dopo alterne vicende, solo fra il 1997 ed il 2002). Ora tocca a noi ripetere quella coraggiosa iniziativa di denuncia civile che fu del “Brutium”. Le multinazionali convertite sulla via di Damasco all’energia green ci provano. Se riescono a corrompere o convincere qualche politico, funzionario pubblico o consulente, se la gente del luogo non si ribella, se le amministrazioni non proteggono il territorio, l’avranno vinta. E innalzeranno tutt’intorno alla Sila, proprio nei territori che sono rimasti fuori dai confini del parco nazionale, gli impianti eolici più mostruosi e remunerativi d’Europa, circondando l’intero massiccio montuoso con una nuova “selva”, questa volta di acciaio. E se riusciranno nel loro intento avranno creato un precedente molto pericoloso: altri assalteranno paesaggi di pregio al Sud. Tanto, diranno, è facile da quelle parti: la gente è anestetizzata e crede che i loro luoghi non valgano nulla. Se invece, nonostante le corruttele che si possono mettere in atto, nonostante l’insipienza della classe politica, nonostante la potenza economica delle multinazionali, la gente reagisce, si organizza, protesta, occupa i luoghi, si mette di traverso, quei vigliacchi abbandoneranno il campo e cercheranno altrove.

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