Li osservo, stupito, nel sole di mezzo mattino. Giganti. Sulla ripida, pietrosa pendice. In cammino. Non mi erano mai apparsi così. Tutte le altre volte erano solo alberi. Meravigliosi, enormi, immoti, ma pur sempre alberi. Oggi no. Oggi sono creature animate, che si muovono lentamente. Migrano verso la grande conca prativa del Piano di Acquafredda. Sullo sfondo del versante nord-est di Serra Dolcedorme. Alberi viandanti, dunque. Avverto in loro l’antica malinconia di chi parte. E la consapevolezza di un’estrema vecchiaia, lunga più di un millennio. La rassegnata certezza che saranno i primi a cadere sotto la violenza del vento, delle bufere di neve, dei fulmini. Perché sono i più esposti alla furia degli elementi. I giovani faggi, più in basso, nel bosco, si piegano, si proteggono l’un l’altro, si adeguano. Loro no. Sono unici, alti, poderosi, con addosso molte, troppe stagioni. E stanchi e pronti a tornare alla terra. Come tanti loro fratelli, i cui corpi giacciono calcinati, contorti, riversi. Fra i ginepri striscianti e le ultime fioriture di questo caldo, siccitoso inizio estate.
Forse è il tremolio dell’aria nell’ora panica, l’afa che stringe in una morsa il paesaggio. Forse è il leggero movimento dei rami nel vento. Forse è la mia psiche, nella quale lottano gioia e timore, entusiasmo e prudenza, i ricordi del passato, il presente e l’incerto futuro. Forse è tutto questo insieme a conferire alla scena l’immagine di una schiera di giganti in movimento.
Siamo partiti stamattina presto dalla strada che da Civita sale a Colle Marcione e poi attraversa l’alta valle del Raganello, servendo le ultime masserie di contadini e pastori che stanno ancora quassù, nonostante tutto e tutti. Da Sorgente Acquasalata abbiamo risalito i campi e poi la Fagosa, la grande foresta di faggi, liberamente, tenendoci accostati al Fosso del Vascello, per capire se non vi fosse qui un vecchio sentiero. Alla sorgente del Vascello abbiamo imboccato la mulattiera che s’inerpica prima a Piano di Fossa e poi a Piano di Acquafredda. Non avevamo una meta precisa. Volevamo solo vagare in una zona che abbiamo attraversato tante volte, in ogni stagione, con ogni condizione atmosferica ma sempre con nuove varianti e nuove scoperte. Come scrive Hermann Hesse “Non si deve voler vedere e conoscere tutto. Chi ha percorso in lungo e in largo un paio di montagne e di valli delle Alpi Svizzere, conosce la Svizzera meglio di chi nella stessa durata di tempo ha girato tutto il paese con un biglietto cumulativo.”
Sapevamo che il caldo e il dislivello da colmare ci avrebbero aggrediti. Ma, facendo tutto con calma, siamo riusciti a giungere sino in vetta a Serra delle Ciavole senza patemi. Da lì si gode un panorama vastissimo, che incanta e soggioga: è il paesaggio delle montagne calcaree fra Calabria e Basilicata; le più vicine all’osservatore ornate di quello splendido, ineguagliabile orpello che sono i pini loricati. Poi, nello scendere per una cresta diversa da quella di risalita, è iniziata la vera erranza che ci ha condotto fra gli alberi viandanti.
Vaghiamo attoniti fra i giganti ultra millenari. Con la sensazione di solcare la pendice insieme a loro. Saluto uno ad uno i vecchi amici. Pensando agli inverni terribili, con la neve e il ghiaccio che li stringono in una morsa. Carezzo le cortecce che paiono un cesello, un mosaico. Abbraccio i tronchi possenti e quieti. Mi accuccio fra le radici che paiono rettili. Alzo lo sguardo verso i rami, tesi al cielo come membra di oranti. Ancora Hesse: “Gli alberi sono sempre stati per me i più assidui predicatori. Io li venero, quando vivono in popolazioni e famiglie, in boschi e foreste. E più ancora li venero quando se ne stanno soli. Essi sono come dei solitari […], come Beethoven e Nietzsche. Nelle loro cime stormisce il mondo, le loro radici riposano nell’infinito […], con ogni energia […] essi tendono ad un unico scopo: portare a compimento la legge che in loro dimora […]. Gli alberi sono santuari. Chi sa parlare con loro, chi sa ascoltarli percepisce la verità. Essi […] predicano la legge primordiale della vita.”