Ieri sera (venerdì 7 aprile 2023), dopo più di quarant’anni di assenza, sono tornato ad assistere ad uno dei riti della Settimana Santa di Nocera Terinese. Mi sono sentito in colpa per essere mancato per tanto tempo e mi sono profondamente commosso. Spero di tornare tutti gli anni in futuro, per scandagliare ogni più piccolo gesto di devozione della gente di questo splendido luogo di una Calabria miracolosamente sopravvissuta al delirio fagocitante della modernità fraintesa. Sì, mi sono commosso: dinanzi alla fede nel sacro che ancora si percepisce nelle persone nelle chiese, nella processione, nelle piazze, dietro e avanti la statua lignea della Pietà; dinanzi all’ingenua speranza che un certo “progressismo” ultra-conformista non l’abbia vinta sulle vite della gente che “resta”, che “resiste”, che “conserva”, che “ha memoria”, che ama e che piange, che soffre e piange ancora, che si avvicina trepidamente alla Madonna addolorata con in grembo il figlio morto, che addobba le chiese, che ammutolisce dinanzi al manifestarsi del mistero; dinanzi agli uomini che si battono le gambe quasi in trance. Ecco, mi commuovo anche dinanzi al gesto indicibile dei flagellanti, che tanti giudicano, con spaventosa leggerezza, come “oscurantista”. Perché è su quel gesto, carico di simboli, di tensione, di gratitudine, di tenerezza, di grazia, di senso del dono, che si fonda la vita delle nostre “piccole patrie” espulse senza remissione dalla “civiltà”. Non idealizzo nulla, non dico che Nocera, i piccoli paesi del Sud siano l’eden. Solo che credere in tutto ciò è il mio personale modo di ribellarmi a questa assurda modernità che ci vorrebbe tutti uguali, non più liberi di scorgere l’invisibile dietro il visibile.
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