“La parola delle pietre”. La bellezza del pensiero greco nell’ultimo romanzo di Domenico Sorace

Trama avvincente, scrittura leggera e rapida, come chiedeva Calvino nelle sue “Lezioni americane”, dialoghi deliziosi, anche quando i protagonisti discutono di temi seri … merce rara nel mondo dei romanzi. In un tempo in cui se non è ancora l’intelligenza artificiale a costruirli, i romanzi, sono i grandi editori a imporli agli autori di best seller quasi preconfezionati. Se a questo aggiungi che la storia è ambientata in Calabria, parte da un villaggio semiabbandonato fra le montagne, da una coincidenza apparentemente casuale, per fare tappa in una sperduta isola cilena, poi a Santiago del Cile, poi su un ghiacciaio galleggiante su un lago in Argentina, poi sull’Isola di Pasqua, e infine riapproda dove è iniziata, con i protagonisti che hanno sciolto un enigma che fa loro ritrovare il bandolo disperso delle loro vite … beh, allora il gioco è fatto: hai tra le mani un piccolo capolavoro. Perdipiù di un autore non ancora molto noto fra i contemporanei che raccontano di cose calabresi: Domenico Sorace, non nuovo al mestiere di narratore, avendo scritto già altri cinque romanzi, ma che con questo “la parola delle pietre”, Libritalia 2005 (253 pagine), giunge alla piena maturità narrativa.

A Calopoli, il villaggio, Alfredo, il protagonista, arriva per puro caso, per una di quelle coincidenze che Jung definì, nel suo saggio su “La sincronicità”, “acausali” – cioè non collegate fra loro da alcun nesso di causa-effetto – ma “significative” per la psiche di chi le vive. E lì, dove abitano solo quattordici, eroici anziani, custodi della memoria del luogo, Alfredo resta affascinato da un bassorilievo sull’arco di una casa disabitata da anni, che raffigura un’antica scena di vita familiare, con l’aggiunta di tre sole lettere che paiono l’inizio di un discorso incompiuto. Architetto, apparentemente appagato dalle sue certezze tecniche ma appassionato di musica, capace di suonare da solo “per” un bosco e le sue creature, Alfredo non lascia andare quel piccolo segno donatogli dal destino e, grazie a sua figlia Luisa, laureanda in medicina, risale alla discendente dei proprietari della casa. Un lungo viaggio porterà padre e figlia dall’altra parte del mondo, nell’isola cilena di Chiloé, dove Elisabetta, la discendente, vive dipingendo. Ma non è lei l’autrice del bassorilievo, ed Alfredo e Luisa devono aggiungere altre tappe al loro viaggio di ricerca. Sino a che dopo aver conosciuto, nel loro peregrinare, Sofia, la figlia di Elisabetta, anche lei artista, e Felice, il figlio di Sofia, medico, si scioglie finalmente l’enigma del bassorilievo. Sembra che la ricerca sia giunta a conclusione. Sennonché, inaudito, giunge l’ultimo tassello del puzzle che mai Alfredo si sarebbe aspettato. Ne escono stravolte e nello stesso tempo rigenerate le vite di tutti. Quella di Alfredo, innanzitutto, che ritrova ciò che aveva perso ma che in fondo al cuore non aveva mai smesso di cercare. Quella di Sofia, che non si era mai rassegnata. Quella di Felice, che da medico ed uomo razionale impara, come insegnava Eraclito, che la vera natura delle cose è inconoscibile. Quella di Luisa che, fra tutti, è l’incarnazione della dea greca della necessità, “Ananke”, secondo cui tutto accade perché deve accadere. Per Calopoli, la cui memoria non sarà obliterata.

Il tutto sullo sfondo del pensiero greco che si conserva in Calabria nonostante i secoli: delle Moire, che tessono il destino di ciascuno di noi; del Daimon, che indica ad ognuno la sua strada; di Eros, che come spiega Platone, è follia, dono degli dei, ed è più bello della ragione, che invece viene dagli uomini. Mentre a celebrare il sacro che intride la storia sta l’eterna ambivalenza della vita, che scorre secondo quanto predestinato, fra l’ombra di Dioniso e la luce di Apollo … o viceversa.

Per questo libro inatteso e tenero, che giunge come un dono per chiunque conservi un po’ dell’antico senso religioso della vita, può valere l’aforisma di Gibran: “Sono un viaggiatore ed un navigatore, ed ogni giorno scopro una nuova regione della mia anima”. Oppure quello di Eliot: “Non cesseremo mai di esplorare, e alla fine di tutto il nostro esplorare arriveremo al punto di partenza e conosceremo quello stesso luogo per la prima volta”.

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